mercoledì 23 maggio 2012

L’uovo prossemico non si mangia né sodo né alla coque ma si rischia comunque una frittata.

Qualche giorno fa abbiamo partecipato ad una festicciola nel parco vicino a casa. Uno dei padri presenti, nell’euforia del momento e nella ricerca di un approccio simpatico a tutti i costi, si è avvicinato da dietro a mia figlia (21 mesi) e l’ha presa in braccio mentre stava tranquillamente giocando sul prato con un pallone.
Mi chiedo: perché si considerano i bambini come fossero dei bambolotti da prendere e lasciare a nostro piacimento? E se in quel momento non avesse avuto voglia di essere presa in braccio da una persona che non aveva mai visto? Sono io che sono troppo sensibile su questi argomenti? Non bisognerebbe chiedere a loro con un linguaggio idoneo, ad esempio avvicinandosi con le braccia aperte, se hanno voglia di essere presi?
In quel momento avrei voluto essere al suo posto per assestargli un bel calcio. Lei ha fatto un visino stranito cercando i miei occhi come per chiedere se fosse tutto a posto. Io ho provato ad avere lo sguardo più rassicurante possibile.
Ho capito che una delle tante cose che vorrò insegnare a mia figlia è che ci sono persone che hanno poca cura di quello che pensano gli altri e che è giusto dire quando non abbiamo voglia di fare, o ci piace poco, qualcosa.
All’uomo della festa vorrei spiegare che ognuno di noi ha un uovo. Si chiama “uovo prossemico”. Si tratta del nostro limite di tolleranza. E’ una specie di bolla intorno a noi nella quale non vogliamo che gli altri entrino. Ognuno ha la sua bolla, con dimensioni che cambiano da persona a persona, da situazione a situazione e da diversi altri fattori.   
Non è un uovo normale. Non si mangia né sodo né alla coque ma si rischia comunque una frittata… almeno nei rapporti personali.

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