lunedì 30 novembre 2015

Dacia Maraini e Pinocchio, ovvero il bello di leggere le favole originali


Stavo leggendo l’ultimo libro di Dacia Maraini “La bambina e il sognatore” che vede come protagonista un padre che ha perso da poco la figlia a causa di una malattia e che si avventura caparbiamente nella ricerca di una bambina scomparsa dalla sua città.
Nel racconto c’è un richiamo alla favola di Pinocchio per una sua interpretazione della paternità. Nell’analisi della scrittrice mi ha colpito, però, il riferimento alla balena come elemento fondamentale della maternità. Infatti si legge che "[...] ventre di balena, ovvero dentro il ventre di una donna, lì dove nascono i figli veri. [...]"
Da toscano, non posso non rilevare una grossa inesattezza. In realtà la favola originale di Pinocchio scritta da Carlo Collodi non parla mai di una “balena” ma bensì di un “pescecane”. E’ nella pancia del pescecane che finisce Pinocchio dove il burattino ritrova il suo amato babbo. La balena è introdotta nella rivisitazione che ne fa Walt Disney nel suo famoso film di animazione di qualche anno fa.
Mi spiace che una riflessione interessante su una favola si basi su elementi non originali. In realtà, secondo me, l'elemento materno è la fata turchina che, alla fine della storia, trasforma il burattino in un bambino vero.   
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa la scrittrice...

martedì 24 novembre 2015

Il congedo di paternità, la mia esperienza e le mie riflessioni #congedopaternità #congedoparentale


Con il congedo obbligatorio di paternità di 15 giorni, al momento in discussione in Parlamento, il nostro Paese potrebbe fare un piccolo passo dal grande valore che lo avvierebbe nel percorso verso le parti opportunità, il bilanciamento dei carichi familiari tra uomini e donne, e la diminuzione delle disparità di genere sul lavoro. Ho sempre pensato, infatti, che favorire la partecipazione alla vita familiare degli uomini sia uno degli elementi fondamentali per consentire, allo stesso tempo, di agevolare la presenza, e la permanenza, delle  donne nel mondo del lavoro.
Tra l’altro c’è un nuovo elemento da non sottovalutare, sono gli uomini, se non tutti ma tanti, che lo chiedono anche se i dati dimostrano che adesso gli strumenti a disposizione dei padri per il congedo parentale sono poco utilizzati. Un'apparente contraddizione che può essere spiegata dalle attuali caratteristiche del congedo parentale.

Quali sono gli elementi che possono favorire una maggiore partecipazione dei papà?

Il primo è sicuramente l’obbligatorietà del congedo di paternità. L’obbligatorietà è necessaria quando c’è da difendere chi si trova in una posizione di debolezza e consente di non essere discriminato. L’esempio principale sono le donne che negli ultimi mesi di gravidanza e dopo il parto hanno un periodo “protetto” a garanzia della salute, loro e di quella del bambino. Per i papà, l'obbligatorietà potrebbe servire per rompere quella tradizione secolare nel nostro Paese per la quale le aziende e la società li vedono dedicarsi essenzialmente al lavoro.
I 15 giorni obbligatori per i papà permetterebbero di non subire condizionamenti lavorativi e consentirebbero, fin dalla nascita, di essere di supporto alle proprie compagne e di avviare sin da subito il proprio rapporto con i figli.
Personalmente, avevo 3 giorni previsti dal mio contratto lavorativo in caso di nascita di un figlio. Molto utili ma giusto per il tempo dell’ospedale. A questi ho aggiunto due settimane di ferie, già pianificate per il periodo di fine gravidanza. Molti dei padri che conosco hanno usato questo metodo: dedicare parte delle ferie per il periodo post parto. Probabilmente questo elemento sfugge agli studi sull’uso degli strumenti a disposizione dei padri.

Per quanto riguarda il congedo parentale, per favorirne l’utilizzo da parte dei padri è necessario che questo sia esclusivo e retribuito.
L’esclusività del periodo, che non può essere utilizzato dalle madri, è un incentivo per i papà, e in generale per la famiglia, perché altrimenti andrebbe perduto.  
Il vero elemento cruciale è determinato, però, dal livello di retribuzione garantito. Credo che in tutte le famiglie si faccia il conto per capire per chi sia più conveniente prolungare il congedo. Considerando che, generalmente, la retribuzione delle madri è più bassa di quella dei padri, molto spesso si sceglie che rimanga a casa la mamma.   

Un ultimo elemento è la flessibilità del congedo, dato ad esempio dal part-time, che permetterebbe ai papà e alle mamme di mantenere un legame con il proprio lavoro. Personalmente trovo questo elemento molto interessante, ad esempio io mi sono occupato dell’inserimento al nido, che non richiedeva il mio impegno per tutta la giornata, attraverso dei permessi ad ore retribuiti, anche se non specifici per i figli. La flessibilità potrebbe essere utilizzata sia per unire il coinvolgimento di entrambi i genitori, in momenti diversi della giornata, che combinando la presenza a casa dei papà con l'uso di strutture dedicate all'infanzia, esempio unendo nido e congedo a metà giornata.

giovedì 19 novembre 2015

Il terrorismo è la guerra per i popoli lontani dai conflitti ufficiali

Le guerre non le decidono i popoli ma chi li governa.
Ci sono due modi attraverso i quali la guerra può entrare nelle nostre vite.
Il primo è quello classico ed è vivere sotto i bombardamenti e l’Europa l’ha vissuto nel novecento.  
Oggi i popoli dei governi che decidono le guerre contro altri Paesi, più o meno lontani, ne sentono solo gli echi, attraverso foto e filmati trasmessi in tv o su internet. Si schierano da una o dall’altra parte ma non ne sono coinvolti direttamente, non entrano nel merito delle decisioni, non fanno sentire la loro voce perché la sentono come qualcosa che non li tocca direttamente.
Ricordo da ragazzo le mie prime immagini di guerra in diretta tv, era la cosiddetta “guerra del Golfo” che mandava in pezzi la nostra innocenza televisiva di quegli anni. Da allora sarebbe cambiato tutto e avremmo fatto l’abitudine a cenare avendo di fronte scene di bombardamenti, carri armati, morte e distruzione da qualsiasi parte del mondo.   
Ma c’è anche un secondo modo, uno nuovo, per far entrare la guerra nelle nostre vite lontane dai conflitti veri e propri: il terrorismo.
Non servono giri di parole, il terrorismo è la guerra. E’ la versione della guerra per i popoli che sono lontani dai bombardamenti ufficiali.
Credo che sia proprio arrivato il momento, adesso che i popoli dei governi che decidono di fare la guerra sono coinvolti direttamente, di iniziare a ripensare alle decisioni prese, ad approfondire le motivazioni e le modalità.  
E’ sempre stato così, e la storia lo dimostra.
Basta pensare al grande movimento pacifista americano contro la Guerra del Vietnam, mosso, tra le altre cose, dall’obbligatorietà del servizio militare a causa della quale le famiglie vedevano andare a morire dall’altra parte del mondo i propri padri, figli, amici e fratelli. E’ bastato far diventare l’esercito una professione vera e propria per farci disinteressare di quello che non ci può toccare direttamente la vita. 
Almeno fino ad adesso.

martedì 10 novembre 2015

Quando è il caso di ringraziare i genitori degli altri bambini…


Volevo ringraziare la mamma che ad ogni compleanno ci aggiorna sulle volte che la sua bambina le racconta quando nostra figlia viene messa in punizione dalle maestre dell’asilo.
Volevo ringraziarla perché ci fornisce notizie, ancorché di seconda mano (o manina visto che si parla di bambini), che non ci arrivano né da mia figlia, in quanto diretta interessata, né dalle maestre. Le sono così tanto grato che sto pensando di farle andare in classe insieme dalle elementari all’università così potrò essere certo di sapere se mia figlia prenderà un’insufficienza, se salterà un giorno la scuola e se falsificherà una giustificazione.  
Volevo ringraziarla perché utilizza parte del suo tempo e della sua memoria per essere aggiornata e poterci rendicontare prontamente alla prima occasione utile. Mi immagino il dialogo “Mamma, mi leggi un libro?” “Sì, però più tardi, adesso aspetta. Dimmi un po’ chi si è comportato male all’asilo?”
Volevo ringraziarla perché, nonostante le brutte notizie che è costretta a portarci, cerca anche di non farci demoralizzare. Ha detto anche “Migliorerà…”. Ci ha permesso di tenere acceso quel lume della speranza che ci scalda il cuore. Anche perché, passare da non seguire le regole all’asilo a non rispettare la legge è un attimo. Non dicono tutti i genitori “Mi sembra ieri che mia figlia era piccola”.
Volevo ringraziarla perché, si sa, i compleanni dei bambini sono sempre un po’ noiosi per i genitori e avere argomenti sempre nuovi e attuali mi dà quell’entusiasmo necessario per affrontare i successivi. Perché parlare dell’ultimo libro letto, di un film che sta per uscire, della situazione del nostro Paese e del Mondo? Dimenticavo lo slogan: pensa locale! E più locale di un asilo comunale non c’è.
Volevo ringraziarla perché vedo che si sforza nel fare espressioni di circostanza con fronte corrugata, occhi stretti e tono di voce adeguato. Ha la mia riconoscenza, apprezzo l’impegno, e, se necessario, anche il mio voto ma, onestà per onestà, non vincerà mai un Oscar come migliore interpretazione, protagonista o non.
Volevo ringraziarla perché mi ha aperto gli occhi nei confronti di mia figlia, non avrei mai e poi mai pensato che lei, con i suoi cinque anni e le sue treccine, potesse farsi mettere in punizione dalla maestra per non aver seguito una regola, per essersi distratta o per aver parlato con un’amichetta mentre le leggevano una storia. Un disonore per me e per la sua mamma che di certo non meritiamo.  
Volevo ringraziarla perché quando accade che mia figlia mi racconti di questo o quel compagno che non si comporta bene io le dico che capita a tutti, di non stare a guardare gli altri e di pensare a seguire lei le regole. Ma, mi rendo conto solo adesso, è proprio questo che fa andare male l’Italia, gente che si volta dall’altra parte.       
Volevo ringraziarla perché questo suo interessamento dimostra una grande attenzione nei confronti della crescita di mia figlia, che in un momento storico in cui si parla di una società fortemente individualista è difficile trovare. Tanto che io stesso devo fare autocritica e ho deciso che da domani inizierò ad indagare sui bambini del vicinato per dare informazioni preziosissime ai loro genitori.
Ma soprattutto…
volevo ringraziarla perché, guardandola e sentendola, mi permette di tenere sempre a mente, nel caso ce ne fosse bisogno, come non voglio e non vorrò mai comportarmi.        

martedì 3 novembre 2015

Chi ha paura della caduta degli stereotipi di genere? #controglistereotipi #noaglistereotipi

La prima volta che ho incontrato la parola "gender" è stato anni fa leggendo alcuni studi europei e del resto del mondo per la riduzione delle disuguaglianze di genere, ovvero delle disparità esistenti in diversi campi tra uomini e donne (es. gender inequality index).
Così quando recentemente la parola è entrata nel dibattito italiano per il cosiddetto movimento "no gender" mi è sembrato veramente strano che si usasse una parola utilizza per analizzare le disuguaglianze proprio per favorire gli stereotipi. Mi è venuto in mente il "Ministero della Pace" che si occupa della guerra nel libro 1984 di Orwell.
Secondo il movimento "no gender" bisogna insegnare ai bambini che c'è una netta separazione tra i sessi. Il sesso è chiaro, i maschietti hanno il pisellino e le femminucce hanno la passerotta. Il genere, invece, è la rappresentazione esteriore della propria sessualità, non è chiaro a priori e, quindi, pericoloso. Ad esempio una ragazza con i capelli corti e i vestiti larghi stile rap potrebbe essere scambiata distrattamente per un ragazzo.
E' facile capire che la rappresentazione di quello che voglia dire essere un uomo o una donna dipende dalle convenzioni sociali e dalle proprie convinzioni personali. Dov'è scritto che una donna debba portare la gonna e un uomo i pantaloni, che una donna debba occuparsi della casa e un uomo del lavoro, che una donna possa truccarsi gli occhi e mettersi le smalto alle unghie e un uomo no, che i supereroi piacciano ai bambini e le principesse alle bambine, che i bambini debbano imparare a giocare a calcio e le bambine a danzare in tutù?
Ultimamente sento parlare di libri per bambini da vietare, di una lista nera di letture, e mi preoccupo molto perché la storia ci insegna che "bruciare i libri", anche se solo metaforicamente, non porta niente di buono.
Visto che ho una bambina di cinque anni, ho voluto approfondire e ho letto alcuni dei libri accusati di deviare i nostri figli. Non c'è niente di scandaloso, anzi, ho trovato la volontà di abbattere gli stereotipi che i nostri figli si trovano ad affrontare quotidianamente.
Una principessa, per essere veramente una donna, deve essere debole e farsi salvare e proteggere da un uomo con l'armatura e la spada?
A chi fa comodo mantenere questi sterotipi?
Il mantenimento degli stereotipi serve come controllo. Cosa potrebbe succede se iniziassimo a pensare con la nostra testa ed a mettere in discussione delle regole sociali che, in quanto tali, non sono leggi immutabili nel tempo ma, al contrario, possono modificarsi con l'evolversi della società?
Anziché pensare che la realizzazione di una persona passi necessariamente attraverso la possibilità di seguire e assecondare le proprie inclinazioni e caratteristiche, qualcuno vorrebbe cercare di omologarci sin dalla più tenera età.
Personalmente cercherò di far interrogare mia figlia su quali siano i suoi veri interessi, le sue caratteristiche e i suoi talenti affinché possa esprimere liberamente la propria personalità al di là dei condizionamenti più o meno forti che dovrà subire e ai quali tutti noi siamo sottoposti.
Così, quando afferma con grande sicurezza, come se  stesse dichiarando una verità assoluta, che quello è "da maschi" o "da femmine", perché magari l'ha sentito dire all'asilo, io le pongo sempre la stessa domanda: "Ma a te piace?"